Nel maggio del 1967 viene pubblicata Lettera a una professoressa, scritta dalla Scuola di Barbiana, in scrittura collettiva con la partecipazione di Don Milani
“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino..."
Una scuola, dunque, che aveva dimenticato l’art. 3 della Costituzione che recita “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”
Questi insegnanti bocciano certo a ragione, ma non giustamente. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali"
L’istruzione è un diritto di tutti, è “la chiave che apre tutti gli usci”. Ogni studente bocciato è un probabile abbandono, “una creatura che va a lavorare prima d’essere uguale”
“L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. E voi ve la sentite di fare questa parte del mondo?”
Il segreto della scuola di Barbiana è la centralità del ragazzo. Il “più lento” è messo al centro della classe e non si va avanti se lui non ha capito. È una scuola fondata sul rapporto educativo insegnante-alunno. Ma anche sul legame tra compagni. A Barbiana sono tutti maestri: i più grandi fanno scuola ai più piccoli. Non ci si rassegna per nessuno, nessuno non vale la pena. Ognuno va seguito, per ognuno si fa l’impossibile.
I ragazzi di Barbiana propongono un programma “perché è il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno”: “1. non bocciare. 2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. 3. agli svogliati dargli uno scopo”
A Barbiana si studiavano tanto le lingue. Tutte, ma soprattutto l’italiano. Perché la chiave è sapersi esprimere. Solo la parola è liberante. Solo l’istruzione educa al senso critico, ad una testa propria, che fa a meno delle mode, delle schiavitù intellettuali, dalle idee che non sono fatte proprie. A Barbiana si leggeva il giornale. Tutte le mattine. Era materia di studio.
A Barbiana si studiava storia, geografia, astronomia, matematica (quella vera, quella pratica!), si faceva “educazione civica”, si leggeva la Costituzione, si studiava la politica, si imparava la tecnica, si seguivano le lezioni di meccanici, falegnami, artigiani che venivano a spiegare come funzionavano e come costruire le loro macchine. A Barbiana si faceva lezione 365 giorni all’anno, senza ricreazione, da mattina a sera. Si imparava a nuotare (i ragazzi costruirono da soli una piscina. Loro, ragazzi di montagna, che non avevano mai visto il mare!), si imparava a sciare. Non per sport, non per svago, ma perché nella vita poteva sempre servire. Come le lingue. Come la storia. Come la matematica. A Barbiana si insegnava a vivere, i ragazzi imparavano ad essere Uomini, cittadini. Cittadini sovrani.
Un’istruzione che si fa servizio, un sapere che diventa vita. E quindi la scuola diventa bussola, capace di orientare, di accompagnare, di dare senso.
La “Lettera ad una professoressa” diventò il manifesto del rifiuto di qualunque forma di selezione e dell’impegno per la trasmissione dei saperi critici attraverso i quali formare “cittadini sovrani” e affermare principi di equità e solidarietà.
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“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.
La vostra “scuola dell’obbligo” ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino..."
Una scuola, dunque, che aveva dimenticato l’art. 3 della Costituzione che recita “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”
Questi insegnanti bocciano certo a ragione, ma non giustamente. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disuguali"
L’istruzione è un diritto di tutti, è “la chiave che apre tutti gli usci”. Ogni studente bocciato è un probabile abbandono, “una creatura che va a lavorare prima d’essere uguale”
“L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile.
E voi ve la sentite di fare questa parte del mondo?”
Il segreto della scuola di Barbiana è la centralità del ragazzo. Il “più lento” è messo al centro della classe e non si va avanti se lui non ha capito. È una scuola fondata sul rapporto educativo insegnante-alunno. Ma anche sul legame tra compagni. A Barbiana sono tutti maestri: i più grandi fanno scuola ai più piccoli. Non ci si rassegna per nessuno, nessuno non vale la pena. Ognuno va seguito, per ognuno si fa l’impossibile.
I ragazzi di Barbiana propongono un programma “perché è il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno”: “1. non bocciare. 2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. 3. agli svogliati dargli uno scopo”
A Barbiana si studiavano tanto le lingue. Tutte, ma soprattutto l’italiano. Perché la chiave è sapersi esprimere. Solo la parola è liberante. Solo l’istruzione educa al senso critico, ad una testa propria, che fa a meno delle mode, delle schiavitù intellettuali, dalle idee che non sono fatte proprie.
A Barbiana si leggeva il giornale. Tutte le mattine. Era materia di studio.
A Barbiana si studiava storia, geografia, astronomia, matematica (quella vera, quella pratica!), si faceva “educazione civica”, si leggeva la Costituzione, si studiava la politica, si imparava la tecnica, si seguivano le lezioni di meccanici, falegnami, artigiani che venivano a spiegare come funzionavano e come costruire le loro macchine.
A Barbiana si faceva lezione 365 giorni all’anno, senza ricreazione, da mattina a sera. Si imparava a nuotare (i ragazzi costruirono da soli una piscina. Loro, ragazzi di montagna, che non avevano mai visto il mare!), si imparava a sciare. Non per sport, non per svago, ma perché nella vita poteva sempre servire. Come le lingue. Come la storia. Come la matematica. A Barbiana si insegnava a vivere, i ragazzi imparavano ad essere Uomini, cittadini. Cittadini sovrani.
Un’istruzione che si fa servizio, un sapere che diventa vita. E quindi la scuola diventa bussola, capace di orientare, di accompagnare, di dare senso.
"Il sapere serve solo per darlo”
La “Lettera ad una professoressa” diventò il manifesto del rifiuto di qualunque forma di selezione e dell’impegno per la trasmissione dei saperi critici attraverso i quali formare “cittadini sovrani” e affermare principi di equità e solidarietà.
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